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Punti di Interesse
L’Abbazia di San Pietro in Valle è uno storico monastero della Valnerina. Non si trova sulla Via di Francesco, richiede una deviazione partendo da Macenano, ma non si resta delusi. La chiesa è tra i monumenti più importanti della Valnerina. All’interno si possono vedere splendidi sarcofagi di epoca romana ed un eccezionale bassorilievo longobardo. Secondo una leggenda il duca di Spoleto vide in sogno lo stesso San Pietro che lo invitò ad edificare nel luogo dell’attuale Abbazia un monastero benedettino. Pochi anni dopo il duca rinunciò al titolo, si fece monaco e quando morì fu sepolto nella chiesa abbaziale che da allora divenne il mausoleo dei duchi longobardi. Passò poi sotto la proprietà del comune di Spoleto, fu semidistrutta e saccheggiata dai saraceni e venne riedificata tra il X e XI sec. Essa ebbe un esteso patrimonio territoriale ed una grande influenza sulla vita del territorio ad essa assoggettato fino agli inizi del XIX sec., quando fu affidata al capitolo lateranense. Nel 1484 Papa Innocenzo VIII dona il feudo dell’Abbazia e dopo passa alla famiglia Ancajani che ne furono abati e curatori dei restauri. Nel 1890 Decio Ancajani riscattò l’Abbazia che passò quindi in mano private. Nel 1917 l’ultima discendente degli Ancajani cedette la chiesa al parroco di Ferentillo e vendette il convento ad Ermete Costanzi. La famiglia Costanzi è l’attuale proprietaria e ha curato la recente ristrutturazione terminata nel 1998. L’edificio è un monumento nazionale visitato da molti turisti per le sue opere d’arte, come il ciclo degli affreschi di scuola romana (1150).
Prima di raggiungere Gubbio, sulla strada che proviene da Farneto, s’incontra il vecchio monastero di Vallingegno, dedicato al soldato martire San Verecondo (primi secoli cristiani) e posto sulla collina da cui ha preso il nome, a poco più di un chilometro dalla Via di Francesco. Ai tempi di San Francesco, il monastero era abitato dai benedettini e più volte egli vi fu ospite. Si resta in dubbio se il monastero presso il quale fu ospite anche nel 1207, quando fuggì da Assisi, debba essere stato edificato con questo o con l’altro, di Santa Maria di Valfabbrica, sulla strada che da Assisi, conduce ugualmente a Gubbio, passando per Casacastalda. Conosciamo di sicuro almeno una sosta di Francesco qui, quando di notte una scrofa uccise un agnellino appena nato, e il Santo maledisse la scrofa, che fu buttata nel burrone e che non fu toccata né da uomini né da bestie. In quella, o in altre occasioni, i contadini dei dintorni pregarono il Santo di non avventurarsi di notte per strada, perché c’erano lupi feroci. E il Santo avrebbe risposto che non avendo fatto mai del male al lupi, non poteva temer nulla da loro. Altra documentazione ci dice di un capitolo con trecento frati francescani, generosamente ospitati dai monaci. Altre fonti indicano l’Abbazia come il luogo in cui Francesco cercò rifugio, dopo essere stato aggredito da ladroni. L’accoglienza non fu delle migliori e i monaci riservarono a Francesco le mansioni di sguattero.
Sulla sponda sinistra del fiume Nera, Arrone si trova in una posizione strategica lungo antichi percorsi tra l’Umbria e Rieti. E’ un piccolo borgo medioevale della Valnerina a due passi dalla Cascata delle Marmore e deve il suo nome ad un nobile romano di nome Arrone che sul finire del sec. IX inoltratosi nella Valnerina si impossessò di uno dei promontori rocciosi che si ergevano e vi costruì un castello fortificato che fu il primo nucleo del paese. La parte alta dell’abitato conserva l’originale struttura medioevale, con le “antiche mura”, e i tipici stretti e pittoreschi vicoli. Al centro possiamo ancora ammirare intatti: il campanile civico, la torre degli olivi, la chiesa trecentesca di San Giovanni Battista, la collegiata cinquecentesca di Santa Maria Assunta e l’ex convento di San Francesco. Oggi qui si pedala in mountain bike sulle sponde del fiume Nera, si pratica il rafting e, sulle montagne intorno, ci si emoziona col trekking e l’arrampicata sportiva.
La Cascata delle Marmore conosciuta in tutto il mondo per la sua bellezza è considerata in modo unanime patrimonio dell’umanità. E’ una caduta artificiale dell’acqua formata dal fiume Velino che, dopo un percorso di circa 90 Km e dopo aver attraversato, nel suo ultimo tratto, la piana reatina e una balconata travertinosa, precipita nel fiume Nera, che scorre incassato nella sottostante vallata. E’ una massa d’acqua spumeggiante che scende per 162 metri dividendosi in tre salti, dei quali il primo supera gli 80 metri. E’ la più alta cascata d’Europa e una delle più alte del mondo. Inserita in un contesto paesaggistico straordinario, rappresenta un’importante emergenza naturalistica e, al tempo stesso, un notevole patrimonio culturale, storico, archeologico. L’origine della cascata è attribuibile al console Curio Dentato, che nel 271 a.C. intraprese un’opera di bonifica della pianura reatina, realizzando un canale di oltre due chilometri fino al ciglio della rupe di Marmore. Fu una delle mete favorite del Gran Tour, viaggio a carattere culturale che nell’Ottocento interessò un gran numero di artisti, letterati e regnanti che percorsero l’Europa e l’Italia alla scoperta dei siti più interessanti e belli. Conosciuta fin dall’antichità, è stata immortalata da pittori e poeti di ogni epoca che l’hanno considerata una delle meraviglie del mondo: fra i tanti ricordiamo i dipinti di Corot e il canto che Lord Byron dedicò alla Cascata nel Childe Harold’s Pilgrimage.
Come la vicina Eggi, è di epoca romana ma formato da tre nuclei: Bazzano di sotto o inferiore, Bazzano di sopra o superiore e Rocca di Bazzano o Rocca Manardesca. Riparati dal Monte Giove, i tre centri conobbero la massima espansione in epoca alto-medievale. Erano dislocati al centro di due importanti direttrici che collegavano Spoleto con le Marche: La Piancianina e la Nursina. La via Nursina era facilmente raggiungibile con una scorciatoia che, attraversando i tre borghi, evitava anche Spoleto. La via Piancianina o strada della Spina, detta anche Salaria, costituì invece, nel periodo del Ducato di Spoleto un importante asse vario. La storia vuole che fosse conosciuta anche al tempo di Annibale che, dopo la battaglia del Trasimeno (21 a.C.), puntò su Roma, passando per Spoleto. Notizie leggendarie narrano che Annibale venne respinto dagli Spoletini che, dalla famosa Torre dell’Olio, versarono sul suo esercito quintali di olio bollente. Indeciso sul da farsi, venne a conoscenza che alcuni territori marchigiani erano in rivolta contro Roma. La possibilità di ingrossare il suo esercito, dopo la battaglia del Trasimeno, venne colta al volo dal condottiero cartaginese, che si infilò nel tracciato della strada della Spina. La sua marcia venne poi rallentata nell’area di Colfiorito con un altro decisivo e vittorioso scontro nella battaglia di Monte Trella: oltre 3000 soldati romani restarono sul terreno e circa 800 furono fatti prigionieri.
Di probabile origine romana, prese il nome da Rovero, Barone di Champeux che nel 921 vi fece erigere un castello. Costui ricevette l’investitura di conte dall’ Imperatore Lamberto. I conti Campello furono signori del castello, della rocca della Spina e di altri otto villaggi disseminati in un territorio denominato nell’XI – XII secolo “Gualdi Rainieri”. Acerrimi nemici della Chiesa, al tempo di Federico II, meritarono la condanna da parte del papa Onorio III che attribuì a uno dei Campello l’appellativo di “Tancredi Filius Belial” ovvero figlio del diavolo. Nel 1390, dopo essere stato distrutto e sottomesso dallo spoletino Pietro Pianciani, il castello tornò sotto il controllo della famiglia dei Campello, fino alla sua sottomissione allo Stato della Chiesa. Campello sul Clitunno fece in seguito parte del Ducato di Spoleto, del quale seguì le sorti per un lungo periodo. Le mura bianche del castello si stagliano nette in mezzo al verde degli olivi della costa del Monte Serano, sulla quale il castello è stato edificato. All’esterno del castello sorge il Convento dei Santi Giovanni Battista e Pietro, dove vivono i Chierici Regolari di San Paolo o Barnabiti. L’intento primario dei Barnabiti è quello di creare una casa di preghiera, un’oasi in cui incontrare il Signore nelle profondità del proprio spirito e nella comunione fraterna. Un luogo di forte spiritualità, il cui protagonista è il silenzio. Qui si offre ospitalità a singoli gruppi che desiderano momenti di fraternità, pause di riflessione e di meditazione. E’ aperto all’accoglienza per ritiri, meditazione e preghiera.
Tra i luoghi più noti del Francescanesimo primitivo, vi è Rivotorto, a circa tre chilometri dalla Porziuncola. L’attuale chiesa fu costruita nel secolo XIX, dopo il terremoto del 1854. All’interno è ricordato il primitivo tugurio dove San Francesco visse in estrema e lieta povertà con i primi dodici francescani, nel 1209. Il terreno apparteneva a Pietro di Bernardone; questo il motivo per il quale San Francesco vi condusse i suoi frati, dopo l’approvazione orale della Regola da parte di Innocenzo III, in attesa di ottenere dall’abate benedettino del Subasio la Porziuncola. Vicino a Rivotorto, sono le cappelle di Santa Maria Maddalena (forse in precedenza San Lazzaro) e San Rufinuccio, dove si trovavano i lebbrosari al tempo del Santo. A poca distanza, c’è San Pietro della Spina, seconda chiesa restaurata da Francesco.
Situato presso laPorta Romana, fu edificata nel 1600 sul luogo dove, secondo la tradizione, si rintanava a dormire il lupo ammansito da Francesco e dove fu sepolto (FF 1852). Negli anni 1872/73 si affermò di aver ritrovato lo scheletro della lupa, sotto la pietra tombale che si mostra a terra nella foto. Ai primi del Novecento nel corso di scavi all’interno della chiesa furono rinvenuti i resti di un lupo. Nella lapide, posta ai piedi della statua di San Francesco con il lupo è scritto: “Havendo San Francesco con la santa croce humiliata fuor di Gubbio quella lupa che homini e bestie divorava con stupor del populo la menò qua et su la presente pietra predicando si fece dare la fede con patto di non far più danno alcuno et con patto d’esser dalla città nutrita si che attutti poi obbediente nella vicina grotta habitava. 1220”. Nella chiesa sono inoltre conservati i Ceri “mezzani’ e le statuette di Sant’Ubaldo, San Giorgio e Sant’Antonio, collocate in cima ai ceri nella celebre festa del 15 maggio. Il quadro rappresentante la Madonna con il Bambino e Santi è opera di Giovanni B. Michelini da Foligno.
La chiesa si trova a poca distanza dalla Via di Francesco, prima di raggiungere Trevi. Il toponimo di Bovara è probabilmente legato ai rinomati buoi allevati lungo le rive del Clitunno che scorre poco sotto. Il complesso monastico assunse grande potere intorno al 1100, quando Alessandro III ne riconobbe l’autorità giurisdizionale su chiese e priorati. Tale autorità venne successivamente confermata da altri papi come Celestino III e Onorio III. In un periodo in cui la chiesa non era officiata, perché Trevi e parte del circondario erano state distrutte dalle truppe spoletine del Duca Diopoldo, Francesco in compagnia di padre Placido vi si fermò a dormire. In questo luogo avvenne la tentazione di San Francesco; qui frà Pacifico ebbe la visione del trono vacante, perso da Lucifero e destinato a Francesco (FF 707; 1111). L’episodio è stato rappresentato da Giotto nella Basilica Superiore di San Francesco in Assisi. Dal 1258 monastero e chiesa furono al centro di furibonde dispute come quella scoppiata tra Treviani e Folignati (31 maggio 1334) quando l’abate Ruggero decise il loro accorpamento all’Abbazia di Sassovivo. Protagonisti degli opposti schieramenti furono oltre che a diversi papi e vescovi, i signorotti folignati come i Trinci i Treviani e i Manenti. La lotta per il possesso dei beni e delle rendite che monastero ed abbazia assicuravano durò più di 150 anni e terminò con l’intervento di due papi: Sisto V, che approvò il 20 luglio 1484 la cessione del complesso monastico alla comunità benedettina di Monte Oliveto e il suo successore Innocenzo VIII che, il 19 settembre dello stesso anno, confermò l’avvenuto passaggio. All’interno è collocato un crocifisso ligneo davanti al quale avrebbe pregato San Francesco.
Posta lungo la Via in direzione di Biscina, la chiesa è dedicata a Santa Maria della Vittoria, commemora un trionfo sui Saraceni. Secondo la tradizione, fu qui che Francesco ammansì il lupo, come narra il XXI racconto dei Fioretti. Il titolo di “Vittorina” dato alla chiesa, è ricordo di una vittoria riportata dalla città sui Saraceni. La chiesina (sec. XIII) sorge su un’altra precedente dell’VIII secolo. Qui, secondo le cronache camaldolesi, sorse nel 1213 la prima dimora francescana a Gubbio con povere e rozze celle e proprio qui sarebbe stato accettato e vestito della tonaca francescana personalmente da San Francesco, il beato Benvenuto da Gubbio, che iniziò la sua vita francescana al servizio dei lebbrosi. Partiti i frati minori (1240), vi abitarono le clarisse. La chiesa attuale è della fine del Duecento, ma di originale sono rimasti solo l’abside e la piccola finestra romanica. Oggi dopo i restauri del 1984 e del 1999, l’edificio si presenta come una semplice struttura a capanna, realizzata in pietra con inserti in cotto. L’’abside ha una struttura lineare e prende luce da una sola finestra. Tutt’intorno vi é un parco, creato nei primi anni “90, con davanti un monumento che rappresenta l’incontro tra San Francesco e il lupo (1973). Nei pressi di Gubbio, San Francesco accettò dai nobili Bigazzini il luogo di Caprignone, ove più volte il Santo fu ospite. Si addita ancora una fonte d’acqua miracolosa, perché benedetta dal Santo. In questo luogo, dal 1988, per ricordare che San Francesco è stato l’inventore del Presepe, viene festeggiata la Natività del Signore, con l’annuale Presepe della Vittorina.
Circondato da oliveti, tra la fitta chioma degli elci e le brune guglie dei cipressi, in vicinanza del paese è adagiato il convento di San Francesco, dallo stesso patriarca fondato nel 1213 quando egli, da Terni, saliva queste pendici ricche allora di boschi e di pace. Dell’antico Cenobio non appaiono tracce; il fronte della chiesa è decorato con il portale caratteristico del XIII secolo e, sotto il velo di calce, si scorgono ancora la bella cortina di travertino e le linee semplici dell’antico disegno. Qui troviamo il frammento di un affresco con il più bel ritratto di San Francesco e Maria che seduta in trono, cinge col braccio sinistro a Gesù Bambino poppante, e con la destra ne sorregge il piccolo piede. Sulla parete principale di fronte all’ingresso, campeggia il bellissimo affresco di Tiberio d’Assisi. Questo grandioso dipinto, nel quale l’artista ha veramente profuso tutta la sua anima, porta la data del 1509 ed è forse il suo capolavoro. Otto anni dopo, Tiberio dipingeva una somigliante composizione nel San Damiano della sua città, ma al confronto dell’affresco stronconese quello di Assisi appare molto stentato: nel dipinto di Stroncone la figura della Vergine è bellissima, la posa del Bambino è vaga ed ingenua, il trono grandioso, il paesaggio vasto pieno di aria e di luce, le figure dei quattro santi bene ispirate, piene di carattere e di vita. Tiberio poche volte fu nelle sue opere così completo e felice come nel dipinto di Stroncone, dove forse ha lasciato il ricordo più bello della sua vigorosa primavera artistica.
E’ famoso per ospitare il Santuario della Verna, dimora di San Francesco dove ricevette le stigmate. A ricordo della capanna di frasche in cui il Santo viveva durante i suoi soggiorni, alla fine del XIV secolo la contessa Caterina Tarlati fece erigere la cappella di Santa Maria Maddalena, all’interno della quale è ancora conservata la pietra su cui sedette Gesù quando apparve al Santo di Assisi. Dalla costruzione delle prime celle per i frati all’edificazione globale del Convento, La Verna è stata al centro di molte vicissitudini del territorio di Chiusi; nel 1440 il luogo venne invaso dalle truppe di Niccolò Piccinino alla ricerca di viveri, mentre nel 1498, in un momento particolarmente doloroso per l’Italia centro settentrionale, il condottiero veneto Bartolomeo d’Alviano, sostenuto dai Medici in esilio contro la Repubblica Fiorentina, occupò il Convento con 150 cavalli e circa 800 fanti, devastandolo completamente ed interrompendone la ricostruzione messa in atto dopo l’incendio di venti anni prima. Il nome deriva probabilmente dal termine latino Clau-Clusu (chiuso), in quanto chiude il passaggio tra la Valle del Tevere e la Romagna. In epoca romana il territorio era attraversato dalla via Maior, che collegava Arezzo con la Romagna.
Eretta su un colle nell’Alta Valle del Tevere, il paese presenta le caratteristiche di fortilizio con funzioni di avvistamento. Le origini del nome sono incerte, potrebbe derivare da una contaminazione linguistica di “cisterna”, dal momento che in molti edifici sono presenti cisterne di raccoglimento di acque piovane che costituiscono un complesso sistema per il reperimento idrico. Si tratta di recipienti costruiti o scavati sotto terra.
Ne sono state censite sette, ma è probabile che ve ne siano altre. La più importante, con una capienza di 450 metri cubi, è visitabile negli ammassi dell’ex convento. Subito fuori le mura, nel versante occidentale, si trova anche un pozzo medievale profondo oltre 20 m. L’acqua è un elemento identificativo del borgo, presente al suo interno e nel territorio circostante come parte integrante di un paesaggio ancora incontaminato nei suoi profili collinari, resi immortali da numerosi artisti che ne hanno lasciato traccia nelle sue chiese. Il borgo è costituito da due strutture urbane sorte in tempi diversi: l’acropoli, che è il nucleo originario del paese, e il “burgus”, aggiunto nel Duecento e dislocato lungo l’asse viario del corso principale.
Dal punto di vista urbanistico, abbiamo due livelli: uno corrispondente all’isolato incluso tra Porta Romana e piazza Scipioni, l’altro consistente negli ammassi, situati sotto l’ex convento di San Francesco. Il nucleo storico di Citerna è racchiuso dentro la cinta muraria, realizzata tra XIII e XIV secolo con due accessi principali: a sud Porta Romana e a nord Porta Fiorentina. Subito a ridosso della prima si sviluppa il Monastero di Santa Elisabetta, nella cui chiesa a forma esagonale si trova una “Vesperbild”, iconografia tedesca raffigurante una Pietà del XIV secolo. Nel centro storico meritano una visita: la chiesa-museo dedicata a San Francesco, per il gran numero di opere d’arte che vi si conservano (fatevi raccontare la famosa storia del ritrovamento della Madonna di Donatello); la chiesa di San Michele Arcangelo, che custodisce la pregevole Crocifissione del Pomarancio e una Madonna con Bambino della scuola dei Della Robbia; la Rocca, con l’insolito camminamento entro le mura. Il Monastero dello Spirito Santo, un tempo convento francescano, ospita oggi un’antica comunità di religiose benedettine. Dal corso principale si accede a Casa Prosperi-Vitelli, al cui interno si ammira il camino del XVI secolo detto degli Innamorati.
Sulla piazza principale si trova la Torre civica con un orologio a incastri meccanici in legno risalente al XVI secolo. Sulla parte orientale di questo antico nucleo di Citerna si apre la piazzetta del piccolo ma elegante Teatro Bontempelli, fatto costruire dalla famiglia Vitelli nel Cinquecento, ora recuperato e in piena attività.
Sulla parte occidentale si erge invece la Rocca, la parte più antica del castello. Di origine longobarda (VII sec.), ricostruita nel XIV secolo, era l’antica residenza dei signori del luogo. Il bastione occidentale e il Torrione rotondo, divenuto simbolo del paese, completano il lato occidentale della cinta muraria. Il luogo è adatto al ritiro spirituale, dove fuggire dal rumore del mondo.
Secondo la tradizione, fu donato da un nobile perugino allo stesso San Francesco. Certo è che il Beato Egidio, terzo dei compagni di Francesco, passò qui gran parte della sua vita e vi morì (FF 1868). Le sue spoglie sono conservate presso l’oratorio di San Bernardino. Si ricorda di lui un incontro con San Bonaventura da Bagnoregio, maestro alla Sorbona di Parigi, ministro dell’Ordine francescano, biografo di San Francesco, uno dei più grandi teologi del Medioevo. Il beato Egidio gli disse: “Beato te che hai studiato teologia e puoi meglio amare, conoscere e servire Dio”. Il Santo teologo rispose: “Un’anima semplice e pura può conoscere, amare e servire Dio meglio di un profondo teologo”. Andando subito in estasi per l’emozione, il semplice fraticello si affacciò dall’alto del colle di Monteripido e gridò: “Ascolta, vecchiarella semplice, con la tua semplicità puoi amare Dio meglio del maestro frate Bonaventura”. Attualmente Monteripido è sede di una fraternità francescana impegnata nella pastorale parrocchiale e universitaria e nell’animazione di un pensionato universitario. In questo romitorio, furono rese alcune delle testimonianze sul “Perdono di Assisi” davanti ad un notaio ed al ministro provinciale dell’Umbria, frate Angelo da Perugia, negli anni 1274-77; tra le altre testimonianze è quella di Giacomo Coppoli (antenato di Frate Fortunato e della Beata Cecilia Coppoli, clarissa riformatrice dei monasteri di Santa Maria di Monteluce in Perugia e Santa Lucia di Foligno). Giacomo Coppoli concesse il terreno ai frati per costruirvi il convento.
Sorto in epoca romana (di proprietà della famiglia degli Hegii da cui probabilmente prese il nome) e posta sulle pendici del monte, il borgo fu nell’anno Mille, “corte” e successivamente “castello” del distretto spoletino. Nel periodo comunale, Eggi era uno dei castelli più popolosi del comprensorio spoletino e come molti altri, tentò più volte di sottrarsi al soffocante potere della vicina Spoleto. Numerosi furono i tentativi di ribellione, tanto che nel 1440 il cardinale Vitelleschi, per sedare i tumulti, decretò l’abbattimento delle sue mura. Successivamente, all’inizio del 1500, approfittando delle difficoltà economiche di Spoleto, pagò con circa duemila ducati d’oro, la “cittadinanza rustica” che permise al piccolo borgo di allentare la stretta del giogo spoletino. Eggi conobbe un buon periodo di espansione tra la metà del XVI fino a tutto il XVIII secolo, grazie alla presenza di illustri abitanti, dotati di consistenti mezzi economici. Questi chiamarono numerosi artisti del tempo a far belle le loro ville e soprattutto le chiese. Significative a tal proposito sono le tre più importanti costruzioni religiose sistemate all’esterno ed all’interno del castello: la chiesa di Santa Maria delle Grazie, la chiesa di San Giovanni Battista e la chiesa di San Michele Arcangelo. Le prime due ad unica navata e l’ultima a tre navate conservano, al loro interno, dipinti votivi ed affreschi in notevole quantità e di pregevole fattura.
Il romitorio di Buon Riposo (ex convento e chiesa di Santa Croce), ricorda una prima visita di San Francesco nel 1213; più famosa l’ultima sosta del 1224 quando, poco tempo dopo aver ricevuto le Stimmate, Francesco accolto festosamente dal popolo, cerca di nascondere le piaghe “per fuggire ogni occasione di gloria mondana”. Egli,quando passava da Città di Castello per recarsi a La Verna, era solito ritirarsi in preghiera in questo posto ricco di grotte naturali, adatto alla preghiera e alla vita contemplativa. Buon Riposo è sulla collina a destra del Tevere, a quattro chilometri dalla città. Al primitivo romitorio, furono aggiunti la chiesa e il convento nel 1352 e vi stanziarono poi gli Osservanti del beato Paoluccio Trinci. Il convento fu abbandonato quando i frati ne furono espulsi nel 1866, con la soppressione religiosa. Ancora intatta è la semplice chiesetta con l’altare e il coro. Il nome “Buon Riposo” deriva dal fatto che San Francesco ogni volta che si fermava in quel posto di pace era solito esclamare: “Oh, che buon riposo!”. In queste terre per alcuni anni convissero i Gesuati e i Francescani. I primi erano un nuovo ordine fondato da Giovanni Colombini da Siena che ricevettero in dono dalla famiglia Guelfucci di Città di Castello alcune terre in località Buon Riposo. Le due comunità religiose si trovarono ad abitare uno accanto all’altra in una situazione di convivenza molto difficile, poiché i Gesuati si sentivano “padroni” avendo ereditato le terre, mentre i Francescani non volevano allontanarsi dai luoghi cari a San Francesco. Per porre termine al dissidio, nel 1401 il comune di Città di Castello pagò la somma di cinquanta fiorini ai Gesuati, affinché lasciassero la terra ai Francescani che, nel frattempo avevano aderito alla Regola dell’Osservanza. Fu abitato dai frati fino al 1864 quando le autorità italiane decretarono la chiusura cedendolo a privati. L’eremo nei secoli successivi ospitò religiosi come Sant’Antonio da Padova, San Bonaventura, San Bernardino da Siena e il Beato Francesco da Pavia. La possibilità di visita è condizionata dalla presenza dei proprietari.
L’Eremo delle Carceri è situato a 4 chilometri da Assisi, a 791 metri di altitudine sulle pendici del Monte Subasio e sorge nei pressi di alcune grotte naturali in un bosco di lecci secolari circondato da grotte e da piccole cappelle. Lungo la strada che portaal Subasio, proseguendo per un acciottolato, ad un certo punto si trova il chiostrino dei frati, una terrazza triangolare che si affaccia a strapiombo sul fosso delle Carceri. Alle estremità del chiostro vi sono le porte che conducono al refettorio dei frati e alla chiesa di Santa Maria delle Carceri costruita nel 1400 da San Bernardino da Siena. Al piano superiore del refettorio, sono situate le celle dei frati. Scendendo una ripida scalinata, dal convento si arriva alla grotta di San Francesco frequentata dagli eremiti fin dall’età paleocristiana. L’Eremo fu donato dal comune di Assisi ai Benedettini che poi lo cedettero a San Francesco affinché qui potesse meditare. Qui, fin dal 1205, San Francesco e i suoi seguaci si “carceravano” per dedicarsi alla contemplazione e alla preghiera. L’eremo è aperto tutto l’anno.
Montecasale (m. 706 s.l.m.) è situato sulla parte di dorsale appenninica che sovrasta Sansepolcro, a quota 807 metri e nel territorio comunale di quest’ultima, dal cui centro urbano dista quasi 8 chilometri Secondo la tradizione le origini risalirebbero al 1192, quando i camaldolesi avrebbero costruito un piccolo eremo con un ospedale e un ospizio per i pellegrini lungo il percorso della strada che varcava l’Alpe della Luna e scendeva lungo il versante marchigiano.. Francesco lo riceve in dono dal vescovo di città di Castello nel 1213. I frati francescani vi rimangono fino al 1268, quando sono sostituiti da una piccola comunità di eremiti che seguono la regola di Sant’Agostino. La piccola comunità fa vita strettamente eremitica, e nelle fonti duecentesche si dice che gli eremiti vivono nell’eremo «per servire l’altissimo creatore». Ciò non significa assoluto isolamento, ma, al contrario, gli eremiti accolgono i fedeli nella loro chiesa, tanto che nel XIV secolo l’eremo mantiene il suo prestigio e sviluppa un proprio culto legato alla scultura della Madonna col Bambino venerata nella piccola chiesa di Santa Maria, nella quale si celebra con particolare solennità la festa dell’Annunciazione (25 marzo). Luogo di primaria importanza della spiritualità francescana il complesso conserva il primitivo impianto dei più antichi conventi francescani, caratterizzato dall’accostamento intorno ad un chiostro centrale di grossi pilastri in pietra architravati. di piccoli edifici legati alle funzioni monastiche. È un notevole esempio di un’architettura povera, fatta di materiali locali, ispirata alla semplicità di vita dei religiosi. Tutto l’eremo è ricco di memorie francescane: l’oratorio con la pietra che serviva a Francesco da letto; un crocifisso portato dal Santo; tre piccole urne che contengono alcune reliquie e due teschi dei tre ladroni che si convertirono. L’eremo di Montecasale è una delle tappe che caratterizzano l’itinerario francescano da Assisi al Santuario della Verna.
Questo eremo è stato costruito sul bellissimo monte di Monteluco alto 8oo metri, situato a ridosso di Spoleto, splendido esempio di lecceta mediterranea montana. Il nome “Lucus”, bosco sacro, ne attesta la sacralità sia in epoca pagana sia in epoca cristiana. Risalendo la vecchia mulattiera che si snoda nel folto del bosco si incontrano numerosi eremi che, con il permesso dei proprietari, è possibile visitare: tra questi si segnala l’eremo di Sant’Isacco, costituito da due locali collegati da una porticina e addossati a una grotta.Se i due locali sono del XIII secolo, molto più antichi sono gli adattamenti della grotta, che forse risalgono addirittura ai primordi della vita eremitica nella zona. Da questo splendido terrazzo naturale San Francesco ammirava la valle spoletina che tanto amava. Nel V secolo, fra i lecci sempreverdi e le centinaia di specie arboree, si insediarono le comunità di eremiti fuggiti dalla Siria. Anche se le Fonti tacciono, è verosimile la tradizione secondo cui nel 1218 Francesco ricevette dai monaci benedettini la cappellina di Santa Caterina, che costituisce il nucleo più antico dell’eremo, situata all’interno della cinta di clausura fra gli ippocastani. All’interno del complesso sono ancora visibili le cellette antiche dei frati: la povertà dei materiali utilizzati e la loro ristrettezza sono la testimonianza più suggestiva, ma al tempo stessa più rigorosa, del significato della povertà francescana. La tradizione è costante nell’indicare anche il pozzo di san Francesco, una piccola sorgente ancora zampillante, che il Santo fece scaturire miracolosamente dal vivo scoglio, presso la grotta da lui abitata. Qui soggiornarono anche Sant’Antonio da Padova e San Bernardino da Siena la cui cappella a lui dedicata è stata più volte trasformata. Nel complesso troviamo ancora: l’oratorio di Sant’Antonio da Padova ricavato dai locali della vecchia legnaia negli anni cinquanta, completamente ristrutturato nel 1994 e ornato da un affresco di inizio cinquecento. Altre stanze adiacenti sono la foresteria e il refettorio. La meridiana, datata 1414, si erge in un angolo del cortile. Le sette piccole celle, superstiti del vecchio dormitorio, sono le stesse, secondo la tradizione, costruite da Francesco e dai suoi compagni. L’orto, grande e ben tenuto, è generoso di frutti.
La valle del nera che fino alle porte di ferentillo ha prevalentemente l’aspetto di una gola, qui diviene una valle, con una maggiore estensione delle superfici pianeggianti. Il comune e’ formato da due abitati, matterella e precetto, caratterizzati da palazzetti gentilizi, artistiche chiese e vicoli a ventaglio, divisi in due dal fiume nera e che sorgono arroccati sui rilievi de il monte e il monte sant’angelo con la chiara funzione di guardia della viabilità in corrispondenza della gola del nera. Per chi ama i luoghi d’arte meno noti, si segnalano la chiesa di santo stefano a precetto del xvi secolo (nella cui cripta si conservano le misteriose mummie) e la pieve di santa maria a matterella, del 1494. Si può tranquillamente affermare che è questo uno dei paesi più belli della valnerina, è indubbiamente di aspetto medievale. Le sue origini risalgono al secolo viii e la storia lo lega all’abbazia di san pietro in valle, poichè le due rocche e quella di umbriano servivano come baluardo per la difesa dell’importante abbazia.
La leggenda francescana avvolge questi luoghi passo per passo. Ancora si conserva, nella parte più antica del paese, in una specie di umile tempietto, la pietra che, secondo la tradizione, fu pergamo del Poverello e che un giorno, quasi nunzia dell’ira divina, fu vista fiammeggiare spaventosamente. E ricordiamo subito come la piccola cappella biancheggiante sulla vetta sia stata eretta da Clemente XI nel 1712, per segnare durevolmente il luogo ove fra due altissimi carpini, sorgeva la capanna che fu dimora di San Francesco. Di là egli scendeva a predicare agli abitanti di Greccio che, per le loro ribalderie, avevano meritato il castigo del cielo, sotto forma di violente grandinate e di lupi feroci. Alla pia e infervorata parola dell’Apostolo, gli abitanti del castello si ravvedono, la grandine cessa, i lupi o si dileguano o diventano mansueti e tranquilli, il popolo muove ad acclamare il Santo e Giovanni Velita, ricco e potente signore del luogo, lo prega a fissare presso di loro la sua dimora. San Francesco allora, seguito dalla turba, si appressa alla porta del paese e, dato in mano a un bambino un tizzo acceso, promette che là si sarebbe fermato ove fosse giunta la facecagliata da lui. Questi infatti il braccio esile ti midamente solleva e il tizzo fiammeggiante, spinto da una forza arcana, trasvola sulla valle, cade sulle rupi del monte opposto e vi brucia tanta parte di bosco quanta poteva occorrerne per costruirvi il convento. Ed è qui che nella notte del 25 dicembre 1225 venne rievocata la scena di Betlemme, istituendo la rappresentazione del presepe. Egli allora tornato dal convegno di papa Onorio e, avido di riposare l’anima affranta dalle incertezze, dalle emozioni e dalle fatiche durate, si era rifugiato tra i pochi, vestito nel silenzio della selva di Greccio, e questa era la chiesuola ove frati e pastori convenivano alla preghiera. L’angusto oratorio annerito dal fumo secolare degli incensi e dei lumi, ci serba nella parete di fondo un affresco che ricorda l’evento: San Francesco vestito di dalmatica, adora il Dio bambino, deposto innanzi all’altare; al di là della mensa scorgesi un gruppo di pochi frati intenti alla celebrazione della messa, e, dietro ad essi, nel buio, riconoscensi le frappe verdognoli del bosco. La composizione segue verso destra colle figure di Maria e di Giuseppe, comprese in un altro scomparto. Per la iconografia del presepe francescano, questo è un cimelio di straordinaria importanza perchè ci riproduce al vero e nella sua grande semplicità la intima cerimonia che San Francesco legò ai frati suoi, perché ogni anno, in quella notte fredda, nevosa e pur rimboccante di tanta poesia, commemorassero in tal modo l’umile comparsa del Redentore di tutte le genti. Nella parete di fronte all’atrio, montando alcuni gradini, una cappella oscura ricorda il luogo del primo dormitorio e sulla rupe si vedono le grotticelle e le croci che contrassegnano i posti ove giacquero il maestro e i suoi primi seguaci. Nella cappella sopra l’altare,compresa da una ricca ma goffa cornice, ammirasi una figura di San Francesco. E’ una tela, a tempera, fissata su tavola, e viene additata come uno dei più antichi e famosi ritratti di lui. Il Santo sta in atteggiamento di muoversi e con un bianco lino si terge le lagrime; ha il capo ravvolto in un ampio cappuccio, e nella fisionomia emaciata dal dolore traluce il sentimento benigno dell’anima; poca barba gl’incornicia la bocca delicata e breve, e la tonaca gli scende a pena alla metà della tibia che è nuda, come nudo è il piede. Usciti dal convento ci si trova in una bellissima valle fecondata dal Velino. La pianura a spicchi, a macchie, che dalle più vaghe gradazioni del verde, vanno al rossastro dei terreni recentemente arati e all’azzurro riflesso dal tranquillo specchio dei laghi, sembra la tavolozza gigantesca di un paesista. A sinistra il Terminillo erge le sue cime nevose; a destra il quadro è chiuso dalla quinta del monte sul quale, a mezza costa, si profila Greccio; di fronte, lontano, sul limitare della grande conca, si adagia biancheggiante
la città di Rieti, e dietro ad essa, fondentisi nell’azzurro del cielo, ecco le cime del Gran Sasso.
Nello splendido scenario della valle reatina, vi è un luogo speciale e mistico, all’insegna del relax e delle tradizioni in un territorio tutto da scoprire. Questo piccolo paese è noto per le bellezze naturali che lo circondano e per il santuario francescano che, poco distante, ricorda la presenza di Francesco il quale vi visse diversi anni. Fondato, sembra, da una famiglia greca in esilio, da cui prese il nome di Greccio, si hanno notizie a partire dal X secolo. Teatro di diverse battaglie, distrutto e poi ricostruito, il borgo conosce Francesco al rientro dalla sua visita in Terra Santa. Stabilitosi sul Monte Lacerone, dove era arrivato dal 1209, il poverello di Assisi vi dimorò per un ampio periodo della sua vita in preghiera e meditazione in una capanna protetta da due piante di carpino. E fu lì che nella notte di Natale del 1223 diede vita alla prima rappresentazione della natività servendosi di persone del luogo. Teatro della figurazione di quello che fu il primo presepe: “una grotta arrampicata sulla montagna”. Qui, nel 1228, sorse la Cappella del Presepe per ricordare lo straordinario episodio e in seguito il Santuario dove, ancora oggi è possibile visitare il refettorio e le celle che ospitarono i primi frati così come quella, ben più povera, dove riposava il Santo. Numerose le opere d’arte di assoluto valore che decorano il Santuario. Il centro del paese, con la sua splendida piazza, è una meta irrinunciabile dove si respira ancora la misticità che questi luoghi, inevitabilmente, ispirano. Oggi, la Betlemme Francescana, continua ad affascinare fedeli e non grazie alla semplicità di questo luogo e alla Natività che, dopo secoli, la comunità continua a rappresentare nel ricordo di un uomo così povero che aveva fatto della semplicità la sua arma più forte, la sua ricchezza. Di recente il borgo di Greccio e il suo Santuario francescano sono stati inclusi dall’UNESCO tra i 754 siti che fanno parte del Patrimonio Mondiale dell’umanità.
Gubbio è una delle città maggiormente legata alla memoria di San Francesco, forse proprio in virtù del patto di pace che il Santo fece stringere nel 1200 tra gli abitanti e il terribile lupo che divorava la gente. E’ una città umbra pre-romana, rappresenta uno dei punti più caratteristici e più validi della storia dei popoli
Italici. Della sua storia primitiva ci restano le notissime tavole eughubine, in lingua umbra ed alcune con la traduzione latina a fianco. Sono le uniche tracce possibili per ricostruire la storia letteraria umbra. Con Roma fu municipio ed ebbe il suo teatro e il mausoleo. Il suo splendore comincia con il medioevo italiano e
soprattutto nel sec. XI – XIV come libero comune. Allora si arricchì di opere di architettura e di pittura che la rendono una delle più caratteristiche città medievali. Sorta come città umbra ai piedi di monte Ingino, divenne la colonia romana Eugubium, come testimoniano le arcate del Teatro Romano, tutt’oggi sede di una stagione di prosa. Ma fu tra il XII e XIII secolo che Gubbio conobbe la massima ascesa, prima come libero comune, poi come roccaforte meridionale del Ducato di Urbino, espandendo in maniera significativa il suo centro urbano, con la costruzione di un nuovo acquedotto e di numerosi palazzi civili, che oggi rappresentano una buona fetta del patrimonio artistico della città. Tra tutti il più importante è l’imponente Palazzo dei Consoli, posto accanto alla Cattedrale, che con la sua mole risulta visibile da molti chilometri di distanza, oggi sede del Museo Civico. Accanto ad esso il palazzo Pretorio, successivamente ampliato nel 1800, ed oggi sede comunale. Da non perdere il Palazzo ducale e, al di sopra della città la basilica di Sant’Ubaldo dove si conservano i “ceri” della celebre corsa, perché è a lui che è dedicata la coinvolgente Corsa dei Ceri, che si svolge ogni anno, da ben cinquecento anni, alla vigilia della festa, il 15 maggio. Il Cero non è soltanto una “macchina” di legno che i ceraio li portano a spalla fino al santuario in cima al monte: è espressione di fede, gioia, devozione, forza e amore per il patrono Sant’Ubaldo e la loro città. Ogni anno nei giorni 1-2-3- settembre si svolge il pellegrinaggioa piedi da Assisi a Gubbio. Gubbio è anche nota come la “città dei matti”: quale che sia l’origine di questa fama, vale la pena compiere per tre volte il giro della celebre fontana, per poter ricevere il titolo di “matto patentato”. Potendosi fermare una giornata a Gubbio vale la pena percorrere l’anello cittadino detto Percorso “Fratello Lupo”, che permette al pellegrino di visitare i luoghi francescani della città, “seconda patria” del Santo di Assisi. Si sviluppa per caratteristiche vie medievali, permettendo di ammirare luoghi, chiese e paesaggi tanto cari al Poverello. Si sale al monte Ingino, fino alla basilica di Sant’Ubaldo. Attente e profonde meditazioni porteranno il pellegrino a riflettere su tematiche di fratellanza e di pace, per un’esperienza di spiritualità, di arte, di incantevoli panorami. Al pellegrino vengono consegnati una piccola guida e un segnalibro dove apporre i timbri in ogni luogo visitato; al termine, un simbolico attestato di partecipazione ed un Tau saranno il ricordo di questa piccola ma intensa esperienza di cammino. E’ necessario prenotarsi nel sito www.fratellolupogubbio.it
Labro si adagia su un colle che si affaccia sulla valle del Fuscello e sul Lago di Piediluco mentre alle spalle si trova la catena del Terminillo. Incerta è l’origine del nome del paese secondo alcuni sarebbe una derivazione del termine Latino” aper aprum” ovvero cinghiale, animale che compare nello stemma del paese,secondo altri deriverebbe invece da “lavabrum” che in latino significa vasca bacino e che farebbe riferimento al sottostante lago di Piediluco, un tempo assai più esteso, sul cui bordo si trovava probabilmente il paese nell’antichità. Le prime notizie riguardanti la contrada e il castello di Labro, fatto costruire dai Nobili a somiglianza della Rocca di Spoleto, risalgono al X secolo d.c. Dal 956 inizia la storia feudale del paese quando Aldobrandino De Nobili fu investito dall’imperatore germanico Ottone I° del titolo di Signore di Labro e di altri 12 castelli situati tra il Ducato Spoletino ed il contrado di Rieti. Nel periodo Medievale Labro combatté numerose guerre contro i castelli vicini; particolarmente cruente furono le dispute con la Rocca di Luco che portarono la famiglia De Nobili a perdere la Signoria di labro e la parte superiore del paese, comprendente tra l’altro un’altissima torre da cui era possibile controllare tutto il Centro Italia. Ai De Nobili rimase soltanto la cinta muraria del castello, che servì come base per
l’edificazione, nel corso del XVI secolo, di un palazzo tutt’ora esistente, di proprietà della famiglia Nobili Vitelleschi .Le restanti parti del castello furono demolite o modificate, ma il resto del paese è giunto fino ai nostri giorni praticamente immutato, con le porte antiche, gli edifici tutt’ora abitati e le viuzze ancora
animate: una sorta di museo vivente della storia medievale, ricco di testimonianze e di scorci suggestivi.
Particolarmente interessanti sono gli elementi architettonici e decorativi che abbelliscono gli esterni di molte abitazioni del paese. Sulla Via Garibaldi si aprono splendide finestre cinquecentesche, architravi decorati ed un portale a sesto acuto della fine del trecento mentre sulla via Vittorio Emanuele si offrono al visitatore una bella finestra guelfa ed una grande porta tardo-rinascimentale con bugnato a rilievo.
E’ stato eretto in periodo Medievale, su un rilievo, in posizione strategica per l’avvistamento, tra la Valnerina e la Via Curia. Il castello risalente al 1220 arroccato su uno sperone roccioso è il primo di una serie di fortificazioni che contraddistinguono la valle del fiume Nera. Venne ceduto dalla famiglia degli Arroni al comune di Terni in pegno per un prestito di 1300 lire lucchesi e nel 1225 in seguito alla mancanza restituzione del prestito, il comune di Terni acquista Papigno per 2825 lire lucchesi e senesi. Dal paese si vede nel suo complesso la fabbrica sottostante, la cava e le condutturae per la Centrale Idroelettrica di Papigno. Lo stabilimento elettrochimico di Papigno
venne riconvertita per produrre calciocianamide, un fertilizzante chimico. Realizzato tra il 1928 e il 1931, venne dismesso nel 1973. Acquistato dal comune di Terni nel 1996, è divenuto per un periodo luogo di produzione cinematografiche ed è in fase di attuazioine un progetto di restauro e di riuso. Il borgo è stato totalmente distrutto da un terremoto nel 1765 e il suo aspetto odierno ha i segni inconfondibili dell’edilizia ottocentesca.
La chiesa della SS. Annunziata conserva interessanti tele del XVII secolo.
Perugia è oggi capoluogo dell’Umbria, dopo essere stata gloriosa città etrusca (se ne conservano le mura e l’arco etrusco. Fu per molti secoli sede del Delegato dello Stato Pontificio, che l’arricchì di monumenti, soprattutto la famosa “Rocca Paolina”, rasa al suolo per odio anticlericale, nell’Unità d’Italia. A Perugia sono molte le memorie di San Francesco. Prima di tutto, la sua prigionia (1202-1203 nel carcere di soprammuro, presso l’attuale Chiesa del Gesù e palazzo della prima università di Perugia). Più tardi, ormai diventato apostolo di Cristo, San Francesco tornò a Perugia per predicare, ma i perugini tentarono di distrarre l’attenzione degli uditori, eseguendo giostre di cavalieri sulla piazza dove lui parlava. San Francesco li apostrofò: O miseranda stoltezza di misteri mortali, che disprezzate e non temete il giudizio di Dio! Ascoltate dunque ciò che per mio mezzo – uomo poverissimo – il Signore vi fa sapere. Si, egli vi ha esaltato al di sopra di tutto il circondario; ma per questo voi dovete essere più benigni verso i vostri vicini e maggiormente riconoscenti a Dio. Invece, ingrati alla grazia, assalite con mano armata i vicini, li uccidete e li distruggete. Ma, ve lo assicuro, ciò non resterà invendicato! Anzi, per una punizione ancora più grave, Dio vi farà insorgere l’uno contro l’altro, in una guerra intestina. E ciò che non ottenne la divina clemenza, lo otterrà l’indignazione. La profezia fu presto avverata. A Perugia vi è il Palazzo dei Priori (XIII-XIV sec.) che ospita il Municipio e La Galleria Nazionale dell’Umbria, dove vi troviamo affreschi del Perugino. Nella cappella di san Giovanni Battista vi sono affreschi del XVI sec. e nella sala dei Notari (antica sede dei notai di Perugia) ci sono dipinti di Pietro Cavallini. La Galleria Nazionale dell’Umbria ospita pitture di Piero della Francesca, Benozzo Gozzoli, Beato Angelico, il Pinturicchio e il Perugino. Nel centro storico ci sono molti altri monumenti da visitare: l’Arco Etrusco o di Augusto (III sec. a.c.) che rappresenta la porta monumentale dell’antica cinta muraria etrusca della città; Porta Marzia (III sec. A.c.) Altra porta monumentale etrusca incastonata nel bastione della Rocca Paolina; Quest’ultima rappresenta i resti dell’antica fortezza fatta costruire da Papa Paolo III nel 1540; la Fontana Maggiore (1275-1277) di Frà Bevignate da Perugia con bassorilievi di Nicola e Giovanni Pisano; il Pozzo Etrusco o pozzo Sorbello (III sec. a.c); la Cattedrale di S. Lorenzo (XIV – XV sec.); la Chiesa del Gesù (XVI sec.) con uno splendido soffitto dorato; la Chiesa di San Pietro (sec. X); la Basilica di San Domenico (sec.XIII); Oratorio di San Bernardino (sec. XV); Chiesa di San Francesco al Prato (XIII sec.); Chiesa di San Filippo Neri (XVII sec.); Chiesa di San Severo con affreschi di Perugino e Raffaello.
Situato all’estremità sud-orientale dell’umbria, al confine con il lazio. Si tratta di un piccolo borgo di origine medievale, anche se il toponimo lucus, inteso come bosco sacro, sembra far risalire a epoche piu’ antiche la presenza umana. Il lago e il paese tra settecento e ottocento, divennero insieme all’attigua cascata delle marmore, una delle tappe principali del gran tour che letterati e artisti di tutta europa compivano in italia. Per rilassarsi dopo la fatica della tappa, si puo’ fare un giro in battello sul lago per scoprire i segreti della montagna dell’eco. E’ infatti possibile fare gite sul lago con le tradizionali barche dei pescatori o a bordo di moderni battelli ecologici.Il lago assomiglia molto a un lago alpino. Collocato a circa 370 metri sul livello del mare, il lago, in corrispondenza dell’ abitato di Piediluco ( il solo centro abitato che si affaccia sul lago), raggiunge la massima profondità pari a circa 20 metri. Da tempo il nome di Piediluco è familiare agli appassionati di canottaggio:i venti non forti e regolari, la mancanza di corrente e un lungo tratto rettilineo hanno indotto la federazione italiana canottaggio a farne la sede del centro nazionale remiero, intitolato a Paolo d’Aloia, e un campo di gara per regate nazionali e internazionali. Il centro ospita tutto l’anno la nazionale olimpionica di canottaggio, che vi svolge gli
Allenamenti e la preparazione alle gare. Grazie alle sue spiagge e alle sue complete attrezzature sportive, il lago è completamente fruibile anche da chi preferisce fare soggiorni o trascorrere il proprio tempo libero in totale relax.
Si tratta di un’importante testimonianza della diffusione del cristianesimo nel territorio. Durante le persecuzioni operate da Diocleziano, Crescenziano un legionario romano, venne decapitato e sepolto dove oggi sorge la Pieve de’ Saddi, edificata nel V secolo sulle vestigia di un tempio romano per conservare la
salma del martire. All’ interno della chiesa a tre navate, un bassorilievo dell’VIII secolo raffigura il Santo nell’atto di uccidere il drago, che terrorizzava gli abitanti di Città di Castello. Una costola del drago (forse una zanna di mammuth) si trova ora all’interno del Museo Diocesano di Città di Castello. Presso la chiesa
sono visibili vaste aree di laterizi e conci di arenaria e larghi basoli di selce che attestano l’esistenza di una strada antica. L’edificio appartenne nel XVI secolo alla famiglia Vitelli, mentre ora è un bene di proprietà della curia vescovile di Città di Castello.
Il luogo è situato nel centro geografico della valle del fiume Tevere, le cui sorgenti si trovano a meno di 30Km. a quota 1268 metri, nel versante romagnolo del monte Fumaiolo. Il paese antico distrutto completamente nell’agosto del 1944 dall’esercito tedesco è stato ricostruito completamente nel dopoguerra. Si trova in una toscana ancora poco conosciuta dal flusso del turismo in un’oasi di tranquillità e in stretto contatto con la natura. Pieve è celebre per essere “La città del Diario”. La cittadina ospita, infatti, un Archivio pubblico che raccoglie scritti di gente comune in cui si riflettono, in varie forme, la vita di tutti e la storia d’Italia: taccuini delle trincee di guerra, lettere d’amore dei secoli passati, addirittura lenzuola usate per raccontare storie di famiglia. E proprio grazie all’Archivio, dunque, che Pieve, dopo aver vista cancellata la memoria del proprio passato, è diventata la capitale della memoria. Come un risarcimento del danno subito. Da visitare il Santuario della Madonna dei Lumi, eretto tra il 1590 e il 1625 in onore di un’immagine della Madonna che veniva visitata regolarmente da schiere luminose di angeli. La sontuosa cupola della chiesa è ricoperta di piombo. Per i pellegrini è interessante segnalare che all’interno sono rappresentati San Giacomo e san Cristoforo, da sempre protettori di coloro che partono in cammino. Tutt’oggi la Celebrazione della Madonna dei Lumi, l’8 settembre di ogni anno, è la festa più importante di Pieve e il culto religioso, caratterizzato dalla processione dei Lumi, si è arricchito di Giochi di Luce che i rioni di Pieve organizzano con assoluta originalità attirando visitatori da tutta la provincia. Nella piazza adiacente Palazzo Pretorio, si trova la Collegiata di Santo Stefano (costruita nel 1844) che ospita, fra le altre opere, una terracotta della bottega di Andrea Della Robbia raffigurante l’assunzione della Madonna tra Santi.
Poggio Bustone è un paese di origine medievale, dallo splendido panorama sulla Valle Santa di Rieti e i suoi santuari. Celebre anche per essere la città natale del cantautore Lucio Battisti. Girando per le strade del piccolo borgo si possono osservare le tante memorie francescane, come la porta ad arco (detta del “buongiorno”), che è l’antico ingresso al paese dal quale Francesco entrò rivolgendo alla popolazione il celebre saluto. Infatti, a Poggio Bustone ricordiamo che ancora, il giorno 4 ottobre di ogni anno, per la Festa di San Francesco, un messo comunale gira il paese all’alba, ripetendo il saluto che dette San Francesco nel suo ingresso al paese: “Buongiorno, buona gente!”. Francesco arriva a Poggio Bustone con i suoi compagni: Bernardo da Quintivalle, Pietro Cattani, Egidio, Sabatino, Morico, Masseo e Giovanni della Cappella, nell’estate del 1208. Attraversano la Valle Spoletina per salire a Cascia e a Leonessa, ma il Santo non vi giunge sereno; è travagliato e inquieto, perché pensa alla sua vita trascorsa nel peccato. Quando è a Poggio Bustone, saluta, cerca un luogo deserto e nascosto e qui, accade un fatto straordinario: gli appare un angelo sotto forma di fanciullo che gli assicura che tutti i suoi peccati sono stati rimessi: “Non tormentarti, o Francesco, che i tuoi peccati ti saranno perdonati come tu chiedesti a Dio”. Qui, dove in ogni punto si respira il francescanesimo, vi è una chiesina (Sacro Speco), con un piccolo Campanile, costruita in parte nel 1300, ed in parte nel 1600.
Più recente rispetto agli altri, mostra ancora oggi tutta la sua forma di castello di pendio. Databile intorno al XII-XIII secolo il castello di Poreta costituiva, insieme a quello di Silvignano, la cerniera di comunicazione tra la strada della Spina e la Flaminia. A differenza di altri fu fedelissimo a Spoleto e non partecipò alle varie guerre scatenate contro il potere spoletino: nemmeno in quella della grande ribellione del 1522. Il periodo di massimo fulgore, avvenuto tra il XIV e XV secolo, portò alla nascita di numerose abitazioni al di fuori della cinta muraria; abitazioni che costituiscono l’attuale borgo. Un sapiente recente restauro-recupero, effettuato dalla Comunità Montana dei Monti Martani e del Serano, ha recuperato una parte del castello. Attualmente è stato concesso in uso ad una cooperativa, il nucleo abitativo addossato alla bella chiesa di Santa Maria. Nel suo interno, degni di nota, si possono ammirare alcuni affreschi attribuiti agli Angelucci da Mevale. Appena fuori Poreta, lungo il percorso, in direzione nord, si può notare la bella villa dove soggiornava Annibale della Genga, futuro Papa Leone XII. Il castello è immerso in uno splendido paesaggio di olivi.
A metà strada lungo il cammino tra Greccio e Rieti, il santuario DI Fonte Colombo si trova su una collina immerso nel verde. Il luogo non è solo un punto di passaggio: si consiglia una fermata consistente. Il nome Fons Colombarum, secondo alcune fonti, venne attribuito dallo stesso Francesco, che qui vide alcune colombe abbeverarsi a una fonte. A seguito di restauri, è stato scoperto un Tau che potrebbe essere stato dipinto dallo stesso Francesco, il quale amava assai questo simbolo. Qui sono da visitare la semplice chiesa, la cappella della Maddalena, la cappella di San Michele e il Sacro Speco. In questo luogo San Francesco, tra il 1222 e il 1223, scrisse la Regula Bullata (FiF 1672). Preoccupato perché i frati conoscendo le intenzioni del Santo non volevano accettare questa “norma di vita” desunta dal Vangelo, ebbe una notte un sogno. Gli pareva di aver raccolto da terra minuscole briciole di pane e di averne fatta un’ostia da distribuire ai frati; ma quando stava distribuendole, alcuni frati che ricevevano quell’ostia con devozione, diventavano più luminosi e felici; mentre quelli che disprezzavano quel cibo, diventavano immediatamente lebbrosi. Il Santo ne domandò spiegazione al Signore, che gli rispose: “Francesco le briciole della notte scorsa sono le parole del Vangelo; l’ostia è la Regola; la lebbra è l’iniquità”. Qui avvenne anche la dolorosa operazione agli occhi, alla fine del 1225 o all’inizio del 1226 (FF 752; 1131; 1595-1597). Mentre il medico sta mettendo sul fuoco i ferri per l’operazione, Francesco prega il fuoco: “Fratello mio fuoco, mirabile tra le altre creature, l’Altissimo ti ha creato pieno di forza, e bello e utile; sii, mi benigno in quest’ora; sii con me gentile, poiché già ti ho amato nel Signore. Prego il grande Iddio che ti ha creato di temperare un poco il tuo calore, affinchè tu bruci con dolcezza e io possa sopportarti”. Il medico stesso restò ammirato dalla pazienza del Santo.
Appartenne al Ducato di Spoleto fino al 1198, quando fu annessa allo Stato Pontificio, da papa Innocenzo III. Nel 1255 iniziò il periodo comunale e fu assoggettata prima all’Impero e poi ai Trinci fino al 1439. E’ la terza città dell’Umbria, si trova al centro della Valle Umbra ed è attraversata dal fiume Topino. Il centro di Foligno conserva edifici religiosi e palazzi signorili di assoluto pregio E’ costituito dalle due attigue piazze, quella del Duomo, con la splendida facciata romanica, il Palazzo Comunale e il Palazzo Trinci, sede del prezioso Museo della città e quella intitolata alla Repubblica. Il Duomo fu iniziato nel 1133 e ampliato nel 1201. Qui giunse S. Francesco, nel 1205, conducendo un cavallo carico delle stoffe preziose che aveva prelevato dal fondaco paterno, dopo che il Crocifisso a San Damiano gli aveva ordinato di “restaurare la Chiesa”. Foligno segna dunque uno dei primi atti di generosità di San Francesco e del suo spogliamento dei beni terreni, per ricercare quelli eterni. A Foligno, infatti, San Francesco vendette stoffe e cavallo, poi tornò a piedi ad Assisi, si presentò al prete custode di San Damiano e gli consegnò i soldi ricavati. Siccome il prete aveva timore che l’avaro Pietro di Bernardone si fosse vendicato con lui, non accettò l’offerta, che San Francesco gettò sulla finestrella che dava nell’ospizio del sacerdote. Foligno ebbe altre visite da parte di Francesco, che nel 1213 accettò una casa, nei pressi dell’attuale Chiesa di San Francesco, dove sorse un primo ospizio francescano. Proprio abitando in quest’ospizio insieme con frate Elia, a questi fu rivelato (anno 1224) che San Francesco avrebbe avuto più soltanto due anni di vita. A Foligno oggi i francescani abitano i conventi: San Bartolomeo di Marano (Frati Minori); San Francesco (Conventuali); San Marco (Cappuccini). Ci sono inoltre le Clarisse a le monache Lucia e a Santa Caterina; mentre sono ugualmente notissime le Monache francescane della beata Angelina di Marsciano (dette anche “le contesse”), che dettero inizio alle terziarie francescane di clausura. Altri istituti francescani operano in città. Si consiglia una visita alla Chiesa romanica di Santa Maria Infraportas e al Palazzo Orfini, dove fu stampata la prima edizione della Divina Commedia. A Foligno si trova anche il Santuario della Beata Angela, terziaria francescana e mistica, che visse seguendo l’esempio di Francesco, nell’imitazione di Cristo. Nei pressi di Foligno, numerose città conservano memorie del passaggio di San Francesco, tra queste vanno citate, anche in vista di eventuali deviazioni, Cannara (FF 1846; 3277), Pian d’Arca (FF 1206) e Bevagna (FF424 – 429).
A ricordo della visita del Santo a Piediluco, la chiesa di San Francesco fu edificata tra la fine del XIII secolo e il 1338, come si legge nell’epigrafe posta sulla facciata d’ingresso per iniziativa di Oddone Brancaleoni conte di Luco. Nella stessa iscrizione che occupa la parte inferiore di un pannello scolpito con l’Agnello del Battista e che sovrasta la ghiera dell’arco ornata con simboli di pesca (richiamo evidente alla principale attività economica del piccolo centro), è riportato anche il nome dell’artista autore dell’opera: Petrus Damiani de Assisio me fecit. Malgrado le trasformazioni e le integrazioni apportate all’interno tra il XVI e il XVIII secolo (decorazione cinquecentesca dell’abside pentagonale; nicchie e altari sulle pareti), l’impianto originale si conserva perfettamente nel suo nucleo fondamentale. L’edificio conserva preziosi reperti artistici del Quattrocento e del Cinquecento. Dal 1999 custodisce alcune reliquie di San Francesco, concesse dal Sacro Convento di Assisi per rinnovare la memoria del passaggio del Poverello. L’edificio fu costruito su una stretta fascia di terreno di notevole pendenza tra le rive del lago e le pendici del monte. Oggigiorno il Santuario è anche chiesa parrocchiale e conserva una reliquia di San Francesco donata dai frati francescani del Sacro Convento di Assisi.
Il santuario de La Foresta conserva nei suoi elementi semplici e umili lo spirito del Santo, che qui soggiornò con i suoi compagni nel 1225. In origine esisteva una chiesetta (XI sec.) dedicata a San Fabiano (ancora visibile), con a fianco un’abitazione e una vigna destinate al cappellano, e una piccola casa, che ospitò San Francesco. Nel corso del tempo si sono aggiunti il semplice chiostro (XV sec.) e le quattordici stazioni della Via Crucis in ceramica napoletana del XVII secolo. Meritano una sosta la Domus, dove Francesco soggiornò con i suoi compagni, che reca ancora le tracce di fuliggine del focolare e la grotta di San Francesco, sotto l’ospizio si tratta di una cavità nella roccia dove il Santo si ritirava a pregare. La grotta come fenditura nella roccia e, simbolicamente nel costato di Cristo, è un elemento comune a molti luoghi dove San Francesco è vissuto e ha pregato. Secondo la tradizione, proprio in questo luogo San Francesco iniziò a comporre il Cantico di Frate Sole. Oggi il convento continua la missione di San Francesco e accoglie la comunità “Mondo X”, aperta a giovani che si trovano in situazioni di disagio. Accoglie anche con piacere i pellegrini in cammino. Alla foresta va ricordato soprattutto un episodio: quando San Francesco aveva subito la cauterizzazione degli occhi a Fontecolombo, venne a riposarsi per qualche giorno alla Foresta; ma tutta la gente, da Rieti e dintorni, correva da lui per vederlo, parlarci, venerarlo. Il prete, custode del luogo, si accorse che il popolo trascurava di rispettare la sua vigna, che così andò in malora, proprio per l’eccessiva devozione al Santo; anzi alcuni ne approfittarono, cogliendo l’uva. Al lamento del prete che ormai aveva avuto tutta la vigna distrutta, San Francesco rispose che stesse pure nella pace con Dio e con il prossimo, perché la sua vigna, nell’anno in corso, gli avrebbe prodotto molto più di quanto gli aveva prodotto in passato. Cosa che si avverò puntualmente al raccolto. Nel piazzale che si trova davanti al Santuario, troviamo un monumento in marmo bianco dove è rappresentato San Francesco che recita il Cantico ai suoi confratelli, opera contemporanea dello scultore Lorenzo Ferri. E pare proprio che qui, in questo luogo sia stato scritto il Cantico delle Creature. I frati che abitano al convento de La Foresta coltivano una vigna e un orto che è il loro fioro all’occhiello.
Immerso nei boschi dell’appennino toscano, è posto su uno sperone di roccia ricco di anfratti. Il santuario-convento è sostituito da un complesso di edifici che è andato crescendo nel corso dei secoli. Gli adattamenti non hanno intaccato l’aspetto primitivo e selvaggio del luogo che dà un’idea di dove e com
E pregasse san francesco in alcuni periodi della sua vita. Sulla piazza del quadrante, così chiamata per via della meridiana posta sulla basilica, è collocata una croce in legno, meravigliosa nella sua essenzialità; da qui si gode di una visione d’insieme sui monti. La piazzetta dà accesso ai principali luoghi del santuario: la basilica, il corridoio delle stimmate, la cappella di santa maria degli angeli, il chiostro, la foresteria e l’ospizio per i pellegrini. Molte sono le opere d’arte custodite all’interno, fra le quali una vera e propria antologia dei capolavori dei della robbia. La cappella di santa maria degli angeli, di dimensioni uguali a
Quella della porziuncola, è senza dubbio la costruzione più antica del santuario. L’area che va dalla cancellata fino all’arco che dà sull’altare corrisponde alla cappella costruita tra il 1216 e il 1218 per desiderio di san francesco. La cappella della Maddalena fu edificata agli inizi del xv secolo. Sul luogo della primitiva cella in legno del santo. All’interno la pietra dell’altare è la stessa che serviva da desco al santo, e sulla quale secondo le fonti francescane, Gesù gli apparve. Usciti dalla cappella si scende nel bosco fino a giungere al sasso spicco, una delle tante fenditure, quasi ferite, nella roccia che caratterizzano il monte. Al di sotto di un enorme masso che sembra sospeso in aria, una croce di legno ricorda il luogo dove francesco e la sua prima comunità si ritiravano in preghiera. La basilica, semplice e sobria nella sua facciata, custodisce alcune reliquie di san francesco: un pezzo di stoffa imbevuto del sangue delle sue piaghe, un pezzo del cordone del saio e il bastone del santo. Accanto alla basilica è il corridoio delle stimmate, costruito alla fine del xvi secolo per collegare la basilica alla cappella delle stimmate, mentre al tempo di san francesco il passaggio era garantito solo da un tronco d’albero. Dal 1431 i frati del convento, ogni giorno dell’anno, compiono la processione dalla basilica alla cappella delle stimmate. Si racconta che una volta i frati non poterono effettuare la processione, a causa della neve, e il giorno seguente, trovarono sul percorso le orme degli animali del bosco, che li avevano sostituiti. Lungo il corridoio si trovano prima il letto di San Francesco e poi la cappella della croce, dove il santo si ritirò durante la quaresima di san michele e dove avvenne l’episodio dell’amicizia con il falco (ff 1158). La cappella delle stimmate, inizialmente separata e oggi unita alla cappella della croce, è il punto di arrivo del lungo percorso. In questa cappella la crocifissione di andrea della robbia, un capolavoro assoluto, è posta come pala d’altare sulla parete centrale. Il crocifisso, rappresentato secondo le forme della concezione cristologica francescana, è circondato da angeli piangenti. Ai quali si uniscono anche il sole e la luna, fino a scendere verso il basso dove il dolore si trasforma in contrizione nei volti di san francesco, della vergine, di san giovanni evangelista e di San Girolamo. Il vero centro della cappella è un umile esagono in marmo, posto sul pavimento e illuminato dalla fioca luce di una lampada, a indicare il luogo dove si trovava francesco al momento di ricevere le stimmate. Il cammino in questi luoghi continua verso la cappella di sant’antonio da padova, che qui soggiornò a lungo, per poi raggiungere il vertiginoso precipizio sulla valle. La descrizione dei tanti altri luoghi che esistono all’interno del santuario potrebbe continuare; l’invito è di recarsi di persona non solo per vedere, ma soprattutto per vivere e meditare in questo luogo sacro.
La primitiva chiesa a una navata fu costruita intorno al 1265 su un terreno vicino alle mura della città dove si trovava l’antico oratorio di San Cassiano e diverse casupole. Nel 1288 la costruzione doveva essere terminata, anche se non completa, visto che Nicolò V concedeva indulgenza a chi visitasse la chiesa e ne sostenesse la sua costruzione e ornamentazione. Una stagione importante per l’edificio si inaugura nel 1441, data di insediamento nel convento di un ramo più tardo dei francescani, quello dei minori osservanti, che aveva avuto tra i suoi fondatori Giovanni da Stroncone. Del 1445 è la costruzione del campanile a sinistra del presbiterio e della sottostante cappella: più o meno contemporanea si ritiene la costruzione della simmetrica Cappella Paradisi, dove è rappresentato il giudizio universale riparito sulle tre pareti: in quella centrale il paradiso, in quella di sinistra i sette peccati capitali, e in quella di destra l’inferno. A partire dalla metà del secolo si provvide alla costruzione delle navate laterali abbattendo i muri gotici riutilizzati in parte come pilastri della nuova struttura e in corrispondenza dell’antico transetto si aprirono due cappelle laterali: la cappella della Croce Santa eretta da Camporeali, danneggiata nel 1943, rimangono solo alcuni affreschi e stucchi di Sebastiano Florio d’Arezzo (1575); e la cappella di San Bernardino, andata distrutta nei bombardamenti della seconda guerra mondiale e che resta soltanto la pala d’altare con l’Adorazione dei pastori di Cesare Sermei. Nella prima metà del Cinquecento si provvide alla trasformazione del corpo absidale e alla sistemazione della facciata, con portali rinascimentali. In un restauro ottocentesco furono rialzate le navate laterali e in un restauro del 1945 sono stati eliminati gli altari barocchi che erano state addossati alle pareti delle navate laterali. Nei pressi di piazza San Francesco due portali portanti l’iscrizione “Crucis Almae Domus”, ricordano l’esistenza nella piazza di un oratorio edificato nel 1588 per la confraternita della Croce Santa.
Situata ai piedi del monte Subasio tra Assisi e Foligno vanta origini romane, Spello è nota per le sue infiorate del corpus domini, stupende creazioni di decorazione floreale eseguite da veri artisti che le progettano e le preparano per mesi, usando soltanto elementi vegetali e floreali. Quei variopinti “tappeti” ornamentali si diramano lungo tutte le vie e le piazzette, emanando il loro profumo e offrendo uno spettacolo gioioso di colori ai numerosissimi visitatori che vengono a visitare spello per l’occasione. Malgrado la vicinanza ad assisi, le fonti francescane non riportano episodi che attestino il passaggio di san francesco. Pare, tuttavia, opportuno ricordare, la figura del beato andrea caccioli, il quale, primo sacerdote aggregato fra i frati minori, ricevette l’abito dell’ordine direttamente dalle mani di san francesco e gli fu accanto al momento della morte. La sua tonaca e il suo cappuccio sono conservati nella sacrestia della chiesa di Sant’Andrea. Nella cittadina si trovano numerose opere di epoca romana e rinascimentale, in effetti la chiesa di santa maria maggiore, la piu’grande di spello, vanta splendidi affreschi del Pinturicchio conservati nell’interna Cappella Baglioni.
Spoleto tappa fondamentale della Via e della Vita di Francesco, si estende su una superficie di Kmq 349,63, e comprende diverse frazioni. Qui forse presso la Chiesa di Sant’Elia e di San Sabino ebbe luogo il sogno, dopo il quale Francesco non fu più lo stesso (FF 1401). A Spoleto Francesco passò e soggiornò diverse volte, prima nella Chiesa di Sant’Apollinare, entro le mura, quindi in quella di Sant’Elia, sul colle della Rocca. Spoleto affonda le sue radici in un periodo ben anteriore alla stessa Roma. Trasformata poi in colonia romana con il nome di “Spoletium”, la città si dimostrò fedele alleata di Roma soprattutto in occasione dell’incursione in Italia del condottiero dei Cartaginesi Annibale che, dopo aver sconfitto la guarnigione romana presso il Trasimeno, fu fermato nella sua rapida avanzata verso Roma proprio dalla strenua resistenza opposta dalla cittadina. Questo importante episodio storico testimonia l’importante posizione strategica, militare ed economica raggiunta da Spoleto fin dalla più remota antichità, confermata dalla sopravvivenza, fino ai nostri giorni, di oltre due chilometri di cinta muraria risalente al IV e III secolo a. C. Elevata a municipio romano, la città divenne ben presto rinomato luogo di villeggiatura per la ricca borghesia romana che edificò nell’aria numerose ville, in particolare, in prossimità dei numerosi corsi d’acqua presenti. In poco tempo Spoleto divenne sede episcopale e sviluppò una solida organizzazione ecclesiastica, poi, continuò ad esercitare un ruolo politico di fondamentale importanza, diventando uno dei più importanti ducati Longobardi. Al tempo della conquista e della distruzione da parte di Federico Barbarossa, Spoleto era uno dei più ricchi comuni del Centro Italia, ma l’episodio la potò ad una progressiva sottomissione allo Stato della Chiesa. Nonostante la sua importanza, in seguito all’Unità d’Italia no le venne riconosciuto il rango di capoluogo di provincia. Fino allo scoppio della prima guerra mondiale la città conservò comunque intatte alcune importanti prerogative. L’economia, un tempo basata sul commercio dell’olio e di altri prodotti alimentari, sulla lavorazione del cotone e sull’estrazione di alcune miniere di lignite, era piuttosto florida e Spoleto era la seconda città industriale dell’Umbria dopo Terni. L prima guerra mondiale ed il successivo periodo di dominazione fascista videro un progressivo esodo verso Roma delle migliori forze economiche e culturali. Poi la seconda guerra mondiale e la crisi delle miniere di lignite aggravarono ulteriormente la situazione, portando la città sull’orlo di un definitivo collasso economico e demografico. Per fortuna la realizzazione della superstrada che congiunge l’Umbria Meridionale con Roma fu effettuata giusto in tempo per scongiurare un isolamento che avrebbe entro breve provocato un irreversibile e definitiva decadenza. In tempi recenti alcune intelligenti iniziative in campo culturale hanno fortemente contribuito al rilancio della città. Non va inoltre dimenticato che Spoleto è soprattutto uno dei centri turistici dell’Umbria, sia per la bellezza dei suoi monumenti sia per le importanti manifestazioni culturali che vi si svolgono. Nel 1946 venne inaugurato il” Teatro Lirico Sperimentale”, nel 1951 fu la volte del “Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo”, infine nel 1958 ebbe luogo la prima edizione del “Festival dei due Mondi” rassegna mondiale di teatro, musica e prosa che oggi viene considerata tra le più prestigiose e complete del mondo. Girovagando per le antiche vie ricche di storia e di fascino, si possono ammirare: il Duomo, eretto in una posizione molto suggestiva, racchiude nel suo prospetto le testimonianze delle epoche che a Spoleto si sono espresse on il più rigoglioso fervore d’arte. La sua sagoma si staglia in fondo alla piazza evidenziando una splendida facciata romanica arricchita nella fascia centrale da cinque preziosi rosoni, ben visibili sopra il portico terrazzato a cinque arcate, aggiunto alla fine del XV secolo. Dalle arcate di Piazza della Libertà è possibile accedere al sottostante Teatro Romano, edificato nel I secolo d. C. Rimasto per lungo tempo sepolto sotto le successive costruzioni è stato riportato interamente alla luce e restaurato con imponenti interventi che hanno ridato al complesso la sua struttura originaria. Arrivando da sud a Spoleto si nota subito l’imponenza della Rocca che rappresenta il polo più prestigioso di un capillare sistema difensivo costruito verso la metà del XV secolo dal Gattapone, per ordine del Cardinale Albornoz. Spettacolare è anche il Ponte delle Torri, che unisce il colle Sant’Elia a Monteluco. Antecedente alla Rocca, anch’esso è probabilmente opera del Gattapone. La sua maestosità e la sua imponenza hanno stimolato la fantasia di tanti artisti tra cui lo stesso Goethe. A Spoleto si può ancora ammirare: la casa romana del I secolo d.C, il Palazzo Comunale, il Teatro Caio Melisso, la Chiesa di Sant’Eufemia, l’Arco di Druso e Germanico e la Fontana di Piazza del Mercato.
Il piccolo colle di Stroncone è situato sulla cima di un colle, in posizione panoramica a 450 m. s.l.m., Sulle pendici dei monti Sabini, Domina la valle sottostante dove sorgono altri piccoli centri storici: Aguzzo, Coppe, Finocchieto e Vasciano. Lungo i vicoli, nelle piazzette, si respira ancora l’atmosfera del borgo medievale: mura, chiese, palazzi, torri. Tutto a Stroncone, possiede la dignità che il tempo e la storia hanno sedimentato nel lungo fluire dei secoli. E’ importante citare che vicino la piazza della Libertà è possibile ammirare la fontana seicentesca, l’antica porta del castello, il palazzo comunale di epoca medievale e le Chiese di San Nicolò e di San Giovanni Decollato. Allontanandosi dall’abitato di Stroncone si incontra il convento di San Francesco, fondato dal Santo nel 1213, dove è presente un affresco di Tiberio d’Assisi con la Madonna in trono. Il turista che si dirige verso la frazione Colle, incontra l’Abbazia di San Benedetto in Fundis, fondata nel 771 da Anza, madre dell’Adelchi e purtroppo oggi ridotta ad uno stato di abbandono. L’antica origine di Stroncone si fa risalire al Medioevo (e ancora oggi le sue mura di cinta sono quasi intatte), quando si formò un primo insediamento abitativo, una torre d’avvistamento posta a guardia di alcuni assi viari importanti. Posto fra il Ducato longobardo di Spoleto e i territori sottoposti al controllo dei Bizantini, proprio dal nome di uno dei duchi di Spoleto, Ugone, deriverebbe quello del centro, ottenuto dall’originario “Castrum Hugonis”, tradotto successivamente in “Castrugone”, “Strungone” ed infine “Stroncone”. Il primo documento che attesti l’esistenza dell’abitato risale al 1012, anno in cui Giovanni di Pietro dona al monastero di San Simeone i suoi possedimenti situati nel territorio di Stroncone. A concedere l’autonomia comunale a Stroncone fu nel 1212 il discusso Papa Innocenzo III, interessato a contrastare la politica espansionistica del comune di Narni e ristrutturare lo Stato Pontificio. Ai tempi di Federico II, delle lotte comunali e dei dissidi tra Impero e Papato, Stroncone faceva già sentire il suo peso, ovviamente pendendo verso la parte guelfa tanto che sullo stemma del comune compaiono la croce bianca su fondo rosso e le chiavi pontificie. In età moderna l’influenza politica ed economica esercitata dai frati minori nella vita di Stroncone a partire dal XV secolo, favorisce la nascita di un monte di Pietà (1446) e di un Monte Frumentario (1489) con lo scopo di combattere le attività economiche illecite e immorali. Fra gli avvenimenti più significativi di età moderna, si ricorda la resistenza sostenuta dagli abitanti di Stroncone contro le truppe francesi di Napoleone. Divenuto Municipio di Regno d’Italia, Stroncone fu unita al comune di Terni nel 1929. Soltanto dopo la II guerra mondiale, nel 1947 riconquistò l’autonomia amministrativa.
L’etimologia del nome “Valfabbrica” è dato dalla derivazione di due parole latine: “VALLIS” (valle) e “FABRICA” (fabbrica). La cittadina di Valfabbrica è posta alle pendici del Monte delle Croci, ad un’altitudine di 288 m. sul livello del mare, e sorge proprio sulla riva sinistra del fiume Chiascio. Centro tradizionalmente agricolo, negli ultimi anni Valfabbrica ha sviluppato particolarmente il settore industriale e dei servizi. Le industrie sono dislocate, per la maggior parte, lungo la strada stradale che collega la città di Perugia a Gualdo Tadino. La vocazione residenziale del paese si è accentrata negli ultimi anni preferendo la parte collinare. L’antico Castello medievale, chiamato “Pedicino”, conserva ancora le belle mura duecentesche, ristrutturate alla fine del 1600 ed attualmente è oggetto di particolare attenzione da parte dell’amministrazione comunale attraverso interventi mirati alla valorizzazione storico-artistica. Dell’antica struttura rimane anche un possente torrione che, in origine, era la porta del Castello. Una seconda torre venne aggiunta alla fine del 1100 e con il tempo assunse le funzioni di torre campanaria. All’interno del Castello è ancora possibile ammirare la Chiesa di San Sebastiano, Cappella sorta in età medievale vicino alla torre del Castello, che ha subito radicali trasformazioni nel 700 quando le sue parti sono state arricchite di altari barocchi. Vi sono conservate alcune tele settecentesche, tra le quali una Sacra famiglia di Benedetto Bandiera e un’Immacolata tra i Santi della scuola di Martelli. Divenne oratorio e fu ristrutturata all’interno nel XVI secolo. Fuori del Castello, lungo Via San Benedetto, si trova la Chiesina della Madonna di Foce, realizzata tra il 1634 ed il 1636. La facciata è decorata con un ampio rosone in terracotta; all’interno, sopra l’altare, è posta una tela raffigurante una Madonna col Bambino e Angeli. Lungo la strada principale si incontra la moderna chiesa Parrocchiale di Santa Maria Assunta, edificata nel 1960 su disegno dell’Architetto Pietro Saccardi. Sulla faccata c’è un rilievo a tutto tondo della Vergine Assunta tra quattro Angeli, mentre all’interno, si possono ammirare delle splendide vetrate policrome e delle tele attribuite ai pittori Stefano Amedei e Benedetto Bandiera. Nei transetti destro e sinistro, collocate sopra i due altari e sulle pareti laterali, spiccano quattro grandi palia tema religioso, opera del pittore Ennio Boccacci, così come sue sono quelle poste sopra l’ingresso della chiesa. Dietro l’altare maggiore è posto un altorilievo dell’Ultima Cena, completamente in ceramica, sormontato da un crocifisso dello stesso stile. Uscendo dalla Chiesa e proseguendo verso il cimitero, si arriva all’antica Abbazia Benedettina di S. M. Assunta. Della primitiva struttura rimane solo la Chiesa, che al suo interno conserva uno splendido affresco, unico esempio in Umbria di Scuola Cimabuesca. Nei pressi dell’abside, all’interno di una nicchia trilobata, sostenuta da due colonne medievali, si trova la Maestà tra i Santi e Angeli, un’opera datata primi del 300. Ad un chilometro e mezzo dal centro abitato, sulla riva sinistra del Chiascio, si trova la piccola chiesa della Madonna del Chiascio, dove è conservata una tela raffigurante un’immagine della Madonna col Bambino oggetto di grande venerazione da parte degli abitanti di Valfabbrica.